Molti conoscono una nota battuta pubblicitaria di un noto comico italiano per una nota marca di panettone. Una battuta che si concludeva con il punto esclamativo e che noi abbiamo intenzionalmente modificato con il punto interrogativo. “Il Natale quando arriva, arriva!” a noi non sta bene, ovvero il Natale non ha una scadenza qualsiasi, che fissiamo noi. Non è un prodotto commerciale che decidiamo noi quando consumare. Il Natale lo decide Dio. Non è l’uomo che strappa dal cielo Dio, ma è Lui che decide di piegare il cielo e di scendere tra le nostre case. Incanta e sorprende il Natale, la decisione di Dio di entrare nella storia. Spetta a Lui decidere il quando e il come. Così Dio entra piccolo tra i piccoli. Sceglie una porzione piccina e periferica dell’impero romano. Mette radici tra gli ultimi, i trascurabili, i dimenticati. Il numero degli abitanti di Nazareth poteva ruotare intorno alle 500 unità. Nello splendido capitolo 15 del Vangelo di Luca viene raccontata la storia della pecora perduta, della dramma perduta e quindi del figlio perduto e ritrovato. Dio ha una singolare attrazione per ciò che è smarrito, lontano, bisognoso di cure. Con quelle parabole narra il suo volto di Padre e di Madre costantemente proteso verso i figli ad iniziare dagli umili, dagli svantaggiati. Lui stesso si rende piccolo tra i piccoli. Questa lettura dell’incarnazione del Figlio di Dio potrebbe e dovrebbe avere delle conseguenze nella vita del credente e nella sua spiritualità. Vale a dire che la modalità di intervenire e di operare di Dio nella storia dovrebbe dare forma anche alle nostre operazioni.
Una prima ricaduta potrebbe essere di ordine pastorale. Ci possiamo interrogare se nei nostri progetti pastorali ci stanno più a cuore i numeri, i risultati, le Chiese piene, la pubblica considerazione, il successo oppure la gioia di credere e di condividere la fede, il piacere della gratuità al di là dell’affermazione, l’attenzione ai piccoli, a tutto ciò che è piccolo, la riconoscenza per ogni fragile e imperfetto segno di bontà e di crescita. Ci piace di più ciò che conta, che si può toccare, che è evidente, oppure ci piace spenderci nella normalità e nella quotidianità? In altre parole, siamo dei pagani che corrono dietro a ciò che è forte e vincente, o dei cristiani che hanno imparato la lezione del Natale e sono felici d’essere pizzico di sale e di lievito nella pasta della vita?
Una seconda ricaduta andrebbe individuata nelle relazioni. Ecco la domanda: cavalchiamo il gruppo dei più forti, dei primi, non molliamo finché non la spuntiamo, lavoriamo per guadagnare punti, facciamo delle parzialità oppure incontriamo amabilmente e con simpatia ogni creatura e anzi ci commuoviamo per ciò che è piccolo, umile e autentico, reagiamo quasi istintivamente con affetto e responsabilità per gli indifesi, gli sfortunati, gli ultimi, amiamo un Dio minore, come dice certa spiritualità, e ci facciamo minori come Lui?
Una terza ricaduta positiva potrebbe essere di ordine interiore. In questo clima sociale e planetario di incertezza e di insicurezza che mette dentro melanconia e una certa sottile paura e che rischia di indurci all’arroccamento, alla diffidenza e alla chiusura del cuore, il sapere che il Signore è venuto e viene proprio per gli incerti, per i piccoli, per gli smarriti ridà fiducia e speranza. Il Dio del Natale cristiano si trova a suo agio con i poveri, con i piccoli. La condizione di generale incertezza e povertà potrebbe essere la stanza ideale per lasciarci raggiungere da Lui, per apprendere da Lui il senso e la festa della vita.
(Natale 2008 – dal Bollettino delle Parrocchie della Val Meduna)