Non intendo scandalizzare nessuno, ma quando penso alla parola ‘santità’ percepisco dentro di me una reazione istintiva di antipatia. E’ come se la santità fosse una vicina di casa poco attraente. Ecco dove sta il problema, che essa è uscita di casa per divenire la vicina sgradita. Il fatto è che mi evoca figure austere, pallide e ossute di Santi da altare con la smania dell’ascesi spirituale. Sembra compito per pochi addetti ai lavori, magari chiamati sin dall’eternità a votarsi e a svuotarsi per il Signore, roba per campioni olimpionici dell’anima che pur vincendo risultano sempre perennemente tristi. Confido, nello stesso tempo, che tale reazione in realtà lascia il posto, ed in fretta, quasi preparando la strada e provocandolo, ad un sentimento di curiosità e di fascino, proprio per la santità. Infatti sono ricondotto a contemplare la santità biblica, quella vera, buona e finalmente attraente. Dalla sequenza delle pagine della Sacra Scrittura Dio si rivela come il Santo, il 3 volte Santo, il misericordioso, Colui che ama in modo totale e libero. Questo Dio troverà logico allora domandare con forza alla sua comunità: ‘Siate santi perchè Io sono Santo’ (cfr il Libro del Levitico). Comando ribadito ed interpretato dallo stesso Gesù: ‘Siate misericordiosi come il Padre vostro’ (Lc 6,36). Non è raro trovare in circolazione tra i credenti una forma di santità forzata e rigida. Chi la sceglie persegue il mito, perché improponibile oltre che irraggiungibile, della perfezione, e ahimè perfezione quasi sempre individualistica. Tipi simili sono dei gran lavoratori, stacanovisti, obbedienti ed irreprensibili. Temuti più che stimati. Troppa serietà però suona falsa e puzza. Visti da vicino, risultano appartenere alla categoria degli ‘affaticati e stanchi’, dei cirenei controvoglia poco innamorati di ciò che portano e a rischio di depressione. Oppure si può individuare una santità al ribasso, mediocre e paradossalmente benedetta e raccomandata da qualche alto prelato. Mi è capitato un giorno di sentire un Vescovo del Nord che governa una piccola Diocesi del meridione che: ‘E’ bene andarci piano con i suoi preti! Poveretti, già è tanto che reggano al secolarismo imperante e non si becchino l’esaurimento nervoso. Se fanno la loro messa, curano il catechismo e l’Oratorio, danno una mano ai genitori a sistemare l’immancabile adolescente che dà di matto o a mediare le relazioni di una coppia che s-coppia questo mi basta’. Un realismo anche questo che sa più di sana organizzazione del lavoro, che di santità, o di donazione generosa, o di passione per le cose di Dio, o in definitiva di santità vera. E’ quest’ultima in fondo la santità che Dio desidera per tutti i suoi figli. Noi siamo congegnati proprio per questo, qui sta la nostra identità e la nostra vocazione: amare in modo gratuito e libero, donarsi con responsabilità, cercare il bene dell’altro. Una santità la nostra che domanda di essere declinata nella ferialità e banalità della vita, in modo corale e condiviso. Non c’è altra via per umanizzare la faccia della nostra terra, che lo si sappiano oppure no, che si sia credenti o meno. (06.06.2007)
Dear Don Fabrizio,
as you have asked me …..
At certain moment of life, human beings need to search for God.
I am not exception. For a long time I behaved as God didn’t exist. I was wrong because He was hidden in my soul, my heart and my mind but I wasn’t aware of his presence.
In June a wonderful thing happened to me. During the Holy Mass of Corpus Christi, I suddenly desired to take the Holy Communion. I heard inside my heart a voice saying me “Go, Anna, go”.
When I swallowed the Host, my heart began again the dialogue with Jesus Christ interrupted many years ago. In fact the last time I had taken the Holy Communion was lost in the mists of my girlhood: I don’t remember the exact year because a lot of time has passed.
I was so touched to have rediscovered God to desire to share my feelings with Don Fabrizio – the priest of my village and the man I have loved.
Since the day of Corpus Christi Jesus has become my sweet and close friend.
The following day, before going to sleep, I took in my hands the Crucifix of the Prime Communion and looking at it sweetly I touched Jesus’ nose with the index finger, saying him cherfully “Birichino”.
Now I think in a deeper way to the meaning of life and have also noted small changes in my personality.
I feel more sympathetic towards the others and more serene. It is like to have a new heart and a new skin.
Certainly I have my bad points but now they don’t lower my self confidence.
God is teaching me that everyone has his own story which deserves respect and the faith must be strengthened day by day with our efforts and his help.
It is not easy, because we sometimes have to bear hard trials. But life is a sacred and wonderful gift.
That’s why we don’t have to waste our existence taking wrong roads, but we have to live with the aim of being better persons and loving other people as Jesus had taught us.
Dear Anna,
Your post is a sort of confession, a very honest self analysis. Reading it I feel moved. You certainly were touched by God, who acts mysteriously as a morning breeze stroking the hair. He could penetrate our lives forcing aggressively the gates of heart, as He has done with Jeremiah, the young prophet. Usually however, He respects our freedom, treats us with gentle patience, prefers stirring up our desires. If you flick trough Canticle of Canticles you can come across easily with a bridegroom looking anxiously for his beloved bride. When the two lovers are getting closer they find themselves more distant than before. Curiously, the more they are distant, the more they will be passionately united and undivided. It is the enchantment of true love, or in other way it is the method God perceives with us. A perfect mixture of absence and presence it is necessary to increase attraction. S. Augustine wrote that man is done by God and therefore for God, to live in front of God, serving, worshipping, loving Him. In deep of our souls, as a very tiny seed, is planted an invisible, but powerful need of God. ‘My heart won’t be at peace until it will not rest in You, my Lord’: so sentenced the great Father of the Church. It is consoling to see that this religious discovery is producing changes, quite challenging your previous certainties and style of live. You are restarted, or better, you are going on more aware feeling searched, called and loved by Him. I permit encouraging you to carry on you spiritual journey. A good and wise way could be attend at the dominical Mass and the Lectio Divina, that we begin in October. At this point, it is intelligent to follow a certain discipline, otherwise you risk frustrating your progresses and set up a mere emotional way without a real goal. Think carefully about what I said, feel yourself in any case absolutely free, try to decide the next steps putting yourself in front of God, Who from all eternity is seeking you sweetly and ardently. Take care!
Quand’ero piccola, la Domenica pomeriggio le suore intrattenevano i bambini con incontri di spiritualità. Qualche volta ci andavo anch’io. L’unico ricordo che mi è rimasto di quegli incontri sono le parole di un’intrattenitrice che ci raccontò di un certo Santo, di cui non ricordo il nome, dicendo che questi desiderava ardentemente diventare Santo fin da bambino, ed esortò anche noi a fare altrettanto. Rimasi stupita e sbalordita da quelle parole:non avevo mai sentito nessuno dire una cosa del genere. La parola ‘Santo’ per me era avvolta nel mistero, però nello stesso tempo mi incuriosiva e mi affascinava. Crescendo, nel corso degli anni, mi sono chiesta molte volte in cosa consistesse la santità, e piano piano, poco alla volta, il mistero cominciò a svelarsi.
Secondo me la santità non consiste in ‘cosa’ si fa ma ‘come’ la si fa. Significa fare le cose con amore, con passione, dedizione e buona volontà, senza lasciarsi prendere dall’ansia. Più facile a dirsi che a farsi! Comunque sono convinta che non c’è un clichè, non esiste un’unica via, uguale per tutti, per diventare santi. Ognuno di noi è unico e irripetibile e così pure le vie della santità. Di una cosa però sono certa:che santità si coniuga con umiltà e fedeltà. Fedeltà al progetto che Dio ha su di noi.
Santità significa anche aprirsi agli altri, accoglierli benevolmente, e imparare a guardarci gli uni gli altri, ma prima ancora noi stessi, con gli occhi di Dio:non fermarsi alle apparenze, ma saper guardare in profondità, dentro l’animo. Potremmo scoprire così che una persona in apparenza ‘santa’ in realtà è falsa e ipocrita. Oppure che una persona in apparenza rozza e arrogante, in realtà ha un animo buono e generoso.
Santità significa invocare sempre, soprattutto nelle situazioni tristi o avverse o dolorose, la pietà e la misericordia di Dio, per noi stessi, per i nostri amici e per i nostri nemici, con la consapevolezza che siamo e rimarremo sempre dei miseri peccatori, e che solo l’Amore e la Grazia di Dio possono illuminare e rendere feconda la nostra vita.
Madre Teresa di Calcutta diceva di essere una matita nelle mani di Dio. Io penso che tutti possiamo esserlo. Magari delle povere matite spuntate, ma Dio Onnipotente riesce a scrivere anche con quelle, basta che ci lasciamo guidare docilmente dalla Sua mano ferma e sicura. Relativismo, materialismo, nichilismo, sono tutti mali che ci staccano da Quella mano e ci rendono superbi e…tristi. Sì tristi, perchè solo dove c’è amore c’è gioia. Ricordo una frase di Don Luigi Monza a me molto cara:”La fonte della nostra gioia è nell’amore. E’ bello e gioioso amare.”
La santità è gioiosa.
Carissime Donatella M. e Anna,
voglio ringraziarvi per averci reso partecipi della vostra esperienza di scoperta, o riscoperta, della fede. Leggendo la vostra testimonianza mi si è allargato il cuore e si è riempito di gioia.
Sono tornata con la mente a quando successe a me. Ero molto giovane, avevo 14-15 anni, e non capivo assolutamente cosa stesse accadendo, da dove venisse, e cosa fosse quella gioia, quella leggerezza che sentivo dentro. Ero molto confusa. Inoltre ero timida e quindi non osavo parlarne con nessuno. Solo col passar degli anni compresi che era spuntato dentro di me il germoglio della fede.
Poi ci fu un fatto saliente che fece crescere ed irrobustire quel tenero germoglio. Accadde durante l’Avvento del 1979. All’epoca avevo 22 anni ed ero fidanzata con Claudio, il mio primo marito, che aveva un anno e mezzo più di me. Senza capire nè come nè perchè, improvvisamente venne ‘folgorato’ dalla scoperta della fede. Può sembrare una battuta, visto che faceva l’elettricista, ma non lo è. Sentiva il bisogno irrefrenabile di parlarne con tutti, ma ben pochi lo capivano. Lui ci rimaneva male, ma non desisteva, era più forte di lui.
Non finirò mai di ringraziare il Signore per avergli concesso quella grazia, prima di chiamarlo a Sè, e per aver dato a me il privilegio di condividere con lui quell’esperienza. Ricordo quel periodo come uno dei più belli degli anni trascorsi insieme e anche della mia vita.
Fu proprio quell’evento a cementare la nostra unione ed il 1° Maggio 1981 ci sposammo.
La fede è il dono più prezioso che possiamo ricevere in questa vita:è la fonte di ogni bene. Abbiatene cura e non permettete a niente e a nessuno di privarvene. Buon cammino!
Cara Lucia,
anche per me è stata un’illuminazione!
Non saprei in quale altro modo esprimere, la mia scoperta della fede. Avevo perso da poco mio marito a causa di un tumore, scoperto quando oramai non si poteva più fare niente. La sentenza del medico fu dura: da 3 a 6 mesi di vita. Ciò nonostante, abbiamo lottato, abbiamo sperato fino all’ultimo che un miracolo lo potesse salvare. Dico “abbiamo” perché ho condiviso ogni giorno, ogni minuto del suo percorso doloroso. Ci amavamo profondamente e avevamo un bambino di 5 anni: non potevamo mollare! Mesi di chemioterapia, esami, tac, piccoli miglioramenti e malesseri improvvisi, il tutto accompagnato sempre dalla paura e dalla pena di vedere un uomo forte, sano, cedere alla malattia, senza poter far niente, se non pregare e sperare… Fino ad arrivare a sperare e pregare, che il Signore avesse pietà di lui e lo chiamasse in fretta, non riuscendo più a vederlo soffrire. Eppure, l’averlo accompagnato fino al suo ultimo giorno, mi ha fatto crescere. Mi ha fatto prendere coscienza che la nostra vita finisce, che il nostro tempo è limitato, che la morte è una realtà che riguarda la nostra vita, proprio noi e non solo gli altri. Ho realizzato che il pensiero della morte non mi faceva più paura. Mio marito morto, non era “un morto”, ma era la persona da me tanto amata, che aveva terminato il suo tempo e accanto al quale mi sarei stesa tranquillamente nel letto, come avevo fatto durante i nostri 24 anni di convivenza. Come puoi ben immaginare, la sua perdita mi ha procurato un grande dolore e un grande senso di vuoto.
Ed ecco che, in un momento della mia vita nel quale avrei dovuto essere depressa, delusa, annientata dal dolore, mi scoprivo invece piena di ottimismo, di voglia di vivere, di energia, di speranza. Mi sono interrogata a lungo, non capendo da dove arrivasse quella gioia in fondo al cuore, questa forza che mi faceva andare avanti piena di coraggio. Non capivo e mi dicevo: “non è normale…prima o poi crollerò…”.
È stato per dovere di mamma, dato che il mio bambino doveva fare la Prima Comunione, che sono tornata a Messa. Per accompagnare lui. Ricordo che le prime volte rimanevo a casa tutto il pomeriggio della domenica, assorta, a riflettere su quello che avevo sentito nella predica di don Fabrizio. Poi, pur frastornata e stupita per quanto mi succedeva, ho capito!
Mi vengono in mente le parole di “amazing grace” che recitano: “un tempo ero perduto, ma ora ho trovato, ero cieco ma ora ci vedo”.
Per questo la chiamo illuminazione!
Perché mi ha permesso di “vedere” che siamo di Dio, che c’è Lui dentro il nostro cuore, che da Lui siamo scelti, amati ed accompagnati in questa vita terrena ed è a Lui che ritorneremo.
E in Dio tutto trova un senso, tutto torna, tutto ha un ‘perchè’. Anche il dolore e la sofferenza, perfino la morte ha un senso. E questa scoperta mi ha portato ad iniziare un percorso di ‘revisione’ della mia vita, alla ricerca delle Sue tracce, di un nuovo significato da dare al mio vissuto, del perché delle mie scelte fatte finora, secondo quello che è stato il volere di Dio. È un cammino appena incominciato e che probabilmente durerà fino alla fine dei miei giorni, perché (come mi ricorda sempre don Fabrizio) non si è mai arrivati, ed io sono ancora per strada.
Non ho mai compreso la santità intesa come mortificazione del corpo e dei sentimenti. Amare Dio non significa svalutare il corpo, la gioia, i sentimenti, le passioni e il desiderio.
Sono infatti il Patrimonio Prezioso, immenso, misterioso, inesauribile che Egli ci ha donato.
Questi doni ci sono stati regalati per amore e per renderci diversi dagli altri esseri viventi.
Qui si cela il segreto e la profondità della natura umana.
Penso che neppure Dio condivida il comportamento delle persone masochiste che per Suo amore si annullano infliggendosi digiuni, rinunce assurde, penitenze corporali e morali.
Tutto ciò non ci porta a Lui ma ci rende solo degli spettri privi di anima.
Diversi anni fa lessi un libro di storia contemporanea che ad un certo punto parlava di una giovane suora che svolgeva il suo ministero in un convento del Sud d’Italia.
Rimasi sconcertata nel constatare che provava gioia e piacere nell’essere trattata come la peggiore delle serve e di subire umiliazioni continue da parte delle consorelle, perché questo calvario terreno la faceva sentire in simbiosi con Dio.
Non scrivo i commenti che ho fatto ad alta voce ma potete tranquillamente intuirli ……..
Dove è nata questa immagine distorta della santità e della devozione a Dio ?
Forse dipende da un modello di perfezione assurdo e da un’idea sbagliata di Dio che deriva dal lontano passato e di cui anche il clero di un tempo è in parte responsabile, insieme all’ arretratezza generale della società.
Mi vengono in mente i racconti dei miei familiari e delle persone anziane che descrivono come da parte dei sacerdoti e delle suore di una volta era stata inculcata alla gente l’idea di un Dio spietato, capace solo di emettere divieti, ordini, giudizi severi, destinati a crearti mostruosi sensi di colpa e farti sentire sempre in errore.
Guai se nelle cucine delle case si organizzava una serata danzante, guai se una ragazza si sfoltiva le sopraciglia, guai leggere la rivista Grand Hotel !
Il sacerdote, durante la messa, si scagliava sulla famiglia immorale e la suora di turno bacchettava le mani delle povere ragazze, colpevoli di voler perdere la purezza fisica e morale !
Queste frustate colpivano le persone nel momento in cui assecondavano il corpo, la cura del corpo, i suoi desideri naturali, la gioia, le passioni e i sentimenti con il risultato che tutto ciò che era gioioso, vitale e “terreno” significava immoralità, debolezza, devianza, peccato e lontananza da Dio e per contrapposizione, mortificare il corpo, le passioni, i sentimenti e i desideri attraverso espiazioni e rinunce, significava forza, rettitudine, purezza, vicinanza a Dio e quindi santità.
Ma allora perché Dio si è fatto Uomo? L’umanità di Cristo trova fondamento solo nel compito di redimerci dal Male ?
E la Sua Santità si giustifica solo nell’essere Figlio di Dio o c’è un’ ulteriore spiegazione?
Io credo che Egli abbia voluto farci capire e apprezzare il dono della vita, coi suoi momenti belli e dolorosi e ci abbia amati chiedendoci ma non imponendoci di cambiare.
Mi sono chiesta se, ferma restando la Sua divinità e santità e nella consapevolezza della Sua missione salvifica, Gesù abbia provato i sentimenti positivi e negativi di una qualunque persona, ossia abbia apprezzato il miracolo di essere nato da una donna, gioito e riso di gusto dinnanzi a un evento piacevole, abbia reagito con senso dell’umorismo o battute spiritose in determinate situazioni della vita.
Sarei felice se, nel Suo amore sconfinato per noi, abbia anche amato una donna provando attrazione fisica per lei. In fin dei conti, cosa sappiamo della Sua sessualità ?
Mi sono inoltre domandata se abbia conosciuto l’invidia, la collera, il rancore, la gelosia, momenti di stanchezza e pigrizia.
Vorrei tanto che fosse così, perché nulla sarebbe tolto alla Sua divinità, grandezza e santità e farebbe sentire un po’ più santi anche noi che nella nostra esistenza quotidiana, senza rendercene conto compiamo piccoli miracoli amando e donando il nostro affetto ai familiari, agli amici, ai colleghi di lavoro, sopportando talvolta situazioni difficili e pesanti.
Cara Anna, consentimi di ritornare sopra un tuo passaggio: ‘Sarei felice se, nel Suo amore sconfinato per noi, abbia anche amato una donna provando attrazione fisica per lei. In fin dei conti, cosa sappiamo della Sua sessualità? Mi sono inoltre domandata se abbia conosciuto l’invidia, la collera, il rancore, la gelosia, momenti di stanchezza e pigrizia’. Non ti voglio far da insegnante, non ne possederei nemmeno i titoli. Nemmeno intervengo per difendere un concetto antiquato di ‘purezza’ e di ‘perfezione’. Vedi, quando ci si avvicina al mistero dell’umanità di Gesù è necessario metterci cautela e rispettare due criteri: la verità biblica e la verità vocazionale. Dalle fonti della Sacra Scrittura, dalla teologia dei Padri della Chiesa, da una sequenza di Concili e da un fiume d’inchiostro sterminato evinciamo che Gesù era vero uomo, che ha provato la fame, la sete, la stanchezza, la paura, la solitudine, il piacere dell’amicizia, la gioia e l’esultanza. Sappiamo che amava la festa e il pasto fraterno. Ha pianto la morte dell’amico, fremeva di fronte alla malattia e al dolore. Ed è stato tentato… A proposito di donne la sua relazione fu serena, libera e matura. Sappiamo anche che visse da vergine e da casto per scelta come segno di appartenenza totale al Padre, al suo Genitore. Sempre dal versante biblico teologico lo riconosciamo libero dal peccato. Ciò significa che, pur avendo la possibilità di rompere l’alleanza con il Padre e di lasciarsi andare ad altri desideri, è riuscito a vivere nell’obbedienza, a gestire le sue prove comprese quelle interiori ed emotive. Da quello che ho letto la mia opinione personale è che Egli fosse in grado di leggere chiaramente il suo inconscio e di governarlo. Ora la sua ‘risposta’ esistenziale non va data per scontata, della serie: ‘Per forza, era Dio!’, ma considerata con stupore e ammirazione. La sua obbedienza ha attraversato il dramma. La tristezza della percezione dell’abbandono ne fu il punto culminante. Anche l’altra area, quella veritativa vocazionale va presa con la dovuta attenzione. Noi possiamo immaginarci un Gesù che risponda ai nostri gusti di umanità e giustificarlo in mille modi, ma esiste una verità vocazionale che ci viene consegnata, e che gli è stata consegnata. Lui, l’Amato venne chiamato a dialogare con l’Amante, e senza abbracciare nessuno ad amare tutte le creature umane ad iniziare dai piccoli, dai poveri, da coloro che si sentivano meno amati ed amabili. La sua umanità, senza castrature e forzature, rivela anche la nostra verità umana, la nostra vocazione di creature amate da sempre e per sempre destinate ad amare Lui e come Lui.