Memoria e speranza sono due potenze che possono allearsi, darsi la mano, coalizzarsi oppure litigare, andare in cortocircuito annullandosi reciprocamente. Una infatti guarda al passato e l’altra al futuro. Non sembri questa filosofia spicciola, nel dialogo tra memoria e speranza si gioca la riuscita o meno dell’avventura umana e religiosa. Proviamo, per quello che lo spazio di un articolo ci consente, a dare una sbirciata al dinamismo della memoria biblica. Nelle pagine della Sacra Scrittura il credente emerge come colui che fa funzionare la memoria. Il pio ebreo, e con lui il popolo nella sua interezza, crede – e perciò spera – perché fa memoria dell’Esodo innanzitutto. Egli professa la sua fede facendo memoria e celebrando la sua memoria crede. Emblematica la confessione di fede a cui era tenuto ogni anno in occasione della festa nazionale della “Pentecoste”. Offrendo in forma liturgica le primizie al Signore doveva recitare una formula di fede nella quale erano contenuti i passaggi centrali della storia della salvezza: «Mio padre era un arameo errante; scese in Egitto… Gli egiziani ci maltrattarono… Il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e braccio teso… Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra…» (cfr. Dt 26,1-11). Va detto, per ragioni di rigore e completezza teologica, che la “memoria” attivata nel contesto liturgico-biblico era – e lo è a maggior ragione per noi sommamente nell’eucaristia – un attualizzare, un portare nel presente il passato. In tal modo si poteva, e si può per grazia, immergersi da contemporanei nell’evento, e dichiarare di credere vedendovi le tracce dell’agire di Dio, i suoi doni… l’Alleanza, la Pasqua. Occorre starci attenti quando contestiamo, giustamente, ritualismi abitudinari, stanchi o di cattivo gusto – come si son visti in forma digitale durante la pandemia – arrivando a squalificare per intero la prassi di cura eucaristica definendola “messificio” superfluo. La memoria, il rito, la liturgia… l’evocazione e la narrazione delle “grandi opere” di Dio generano speranza, la percezione che Dio è con noi, e mai e poi mai smette di agire mosso da compassione e tenerezza (cfr. Mt 28,20. Esaminiamo per un istante la memoria più da una prospettiva psicologica e comunque sempre di fede, credente. Intendiamo parlare della memoria grata, di colui che non corre solamente dietro alle mode, ai palloncini colorati o rimane ripiegato su bisogni e desideri immediati da soddisfare. L’uomo di Dio custodisce gelosamente la sua memoria, non è un ingrato, gode nel contemplarsi come frutto di un amore eterno, che lo ha generato attraverso la mediazione di due creature umane e che lo raggiunge attraverso misteriosissime e infinite mediazioni quotidiane. Tale memoria sedimenta un sentimento di certezza, ovvero la convinzione di essere dono affidato e destinato a divenire dono per altri. La memoria grata mette di buon umore, nutre l’autostima, fa intuire la vita come una vocazione alla bellezza, ci pone di fronte al futuro con fiducia e speranza. Personalmente trovo i salmi di lode educativi, terapeutici, pieni di consolazione. Sono preghiere che spingono l’orante ad uno sguardo contemplativo e riconoscente della storia, della vita della Chiesa, dell’autobiografia: «Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre» (Sal 136,1). Andando agli aspetti problematici, si può idealizzare il passato, con fenomeni di nostalgia e di rimpianto che escludono uno sguardo creativo e speranzoso, anzi, bramando solo di replicare ciò che è stato, credendolo meraviglia insuperabile e gloriosa. Chi non si ricorda delle famose cipolle d’Egitto (cfr. Nm 11,4-6)? Inoltre, esistono malattie della memoria, amnesie spirituali, ricordi selettivi. Nel nostro hard disk, o se preferite nel “sistema operativo” personale, si possono installare dei virus dovuti a traumi, ferite, incidenti di percorso che distorcono la percezione della realtà e la sua valutazione. Sono pezzi di memoria che vanno sapientemente recuperati, con i quali è possibile riconciliarsi, in un cammino formativo guidato con competenza, attraversando una prima fase di accettazione, per passare alla ri-significazione – dando senso a ciò che non ne ha – sul modello della croce del Signore Gesù, approdando infine addirittura alla gratitudine, arrivando appunto alla memoria integrata e grata. La spiritualità di Paolo docet in tal senso, basti andare al suo canto di lode e di riconoscenza: «Quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10). In queste settimane sta avviandosi un percorso sinodale che interesserà – per volontà di Papa Francesco – la Chiesa nella sua globalità, le diocesi di cui facciamo parte, ogni singola e minuscola realtà ecclesiale e naturalmente l’AC in tutte le sue parti e articolazioni. Non potrà mancare l’apporto della memoria ecclesiale, sociale, storica, culturale… proprio per dar fiato ai polmoni della speranza, per scuoterci – almeno in occidente – da una certa qual sonnolenza e accidia (cfr. EG n. 76-109). Rimanendo sul magistero, l’intero primo capitolo dell’Enciclica Fratelli Tutti è dedicato ad una memoria – esercitata con spirito cristiano – di ciò che sta accadendo sullo scenario mondiale. Offre un ottimo metodo di discernimento nella fede facendo leva sulla forza della memoria. Mi piace chiudere con un rimando all’icona dei due viandanti di Emmaus (cfr. Lc 2413-35), fin troppo utilizzata e abusata tanto da divenire logora. Ma non so farne a meno. I due discepoli sconsolati si lamentano del fallimento dell’opera missionaria di Gesù (memoria ingrata), successivamente vengono catechizzati (memoria integrata): «Cominciando da Mosè… spiegò loro ciò che si riferiva a lui» (cfr. Lc 24,27). Subito dopo il pasto (memoria biblica e liturgica) ritornano di gran lena sui propri passi consolati, evangelizzatori, rigenerati alla speranza e generatori di speranza (memoria ecclesiale). Che gioia!
Don Fabrizio De Toni
Articolo pubblicato sulla rivista SEGNO NEL MONDO numero 3 del 2021
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