Papa Francesco venerdì 27 marzo, dalla sommità del sagrato della Basilica di San Pietro, prende la parola. Davanti al suo profilo bianco si distende uno spazio deserto e immerso nel silenzio, deputato a raccogliere idealmente il grido e le lacrime dell’umanità. In una preghiera di intercessione struggente chiede che la mano di Dio fermi il flagello della pandemia. Come si potevano trattenere commozione e lacrime, copiose come quelle della pioggia che colpiva il selciato, cadeva sulle spalle di Francesco, e rigava il crocifisso di San Marcello al Corso? La meditazione proposta prendeva le mosse dal racconto della tempesta sedata secondo la versione di Marco, altamente ed immediatamente evocativo della drammatica burrasca virale in corso: «Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade, città». Riprendendo con calma tra le mani il testo papale nella sua interezza, spunta il desiderio di contemplare la scena evangelica secondo le riproposizioni iconografiche più celebri. “Cristo nella tempesta sul mare di Galilea” (1633) di Rembrandt fa al caso nostro. Il cielo è ormai coperto da nubi minacciose, il vento scatena la sua furia, quando una gigantesca e spaventosa onda sferza con violenza la prua della barca facendola impennare. E’ il panico! Rembrandt carica l’onda di luce assoluta, quasi fosse folgore che picchia sulla povera barca e fende le tenebre della notte gettando i discepoli nello smarrimento. Attorno a Gesù, da poco destato dal sonno, vengono raffigurati i differenti volti della paura e dell’impotenza. Vi è chi reagisce, i più giovani, con rabbia e vigore muscolare per tenere a bada le corde e le vele, chi vomita per lo stordimento. Si notano le espressioni dell’angoscia, del terrore, dello sfinimento ed abbattimento. Tra i più vicini al Maestro un primo sembra scuoterlo con un gesto di rimprovero, un secondo piega le ginocchia implorando e un terzo già lo contempla come Signore delle forze oscure della natura. Cristo appare determinato a placare innanzitutto la tempesta dei cuori, poi si occuperà del vento. La barca nel bel mezzo dell’agitazione delle acque si rivela una potente metafora dei tempi di crisi, dello sconquasso sanitario, relazionale, economico, educativo del “covid”, virus silenzioso e vigliacco nella sua invisibilità. Il sonno del Signore Gesù assomiglia al sonno di Adamo dal cui fianco è stata tolta Eva, e al sonno di quando si consegnerà sulla croce reclinando il capo e gli sarà aperto il fianco da cui nascerà la Chiesa, ovvero a sonno fecondo e generativo di speranza. Francesco, anch’egli nella barca con la truppa angosciata e disperata, scruta e discerne. Snodando la sua meditazione, si sofferma sulla grazia della prova, la quale può essere trasformata in un tempo di sveglia da illusioni e anestesie, di riscoperta dei legami comuni e fraterni, di scelte buone. Il suo sguardo di fede dalla concretezza del cuore scivola sulla concretezza della vita ordinaria, passando in rassegna una sequenza minuziosa di condizioni lavorative ed educative animate dalla fantasia e dalla generosità dello Spirito. Enumera: «medici, infermiere e infermieri, addetti ai supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti altri […] padri, madri, nonni e nonne, insegnanti […] persone (che) pregano, offrono, intercedono». In un intreccio sapiente e doloroso di lavoro spirituale e materiale possiamo superare la notte e anticipare già ora la nuova imbarcazione, la riprogrammata rotta, e l’assetto inedito con i quali proseguire la navigazione. Tanti auguri cara umanità!
Don Fabrizio De Toni Assistente Nazionale Mlac
Articolo pubblicato sulla Newsletter – MLAC del 30/03/2020