Consentiteci queste considerazioni a margine di una estate, dove la presa di distanza dalle faccende ordinarie ci fornisce una visuale delle cose più libera e complessiva. A noi pare che nel campo formativo-educativo, ad iniziare da quello basilare e ruspante della famiglia, si è passati da modelli impositivi e autoritari di un passato non troppo lontano ad una pedagogia dello stato brado, fintamente democratica, assenteista, sprovveduta e pericolosa come la prima. Sempre più frequentemente ci si pone con i figli in un rapporto simmetrico, sullo stesso piano. In una vicina città abbiamo udito bambini che non usano più parole come papà-mamma, che vengono sostituite con riferimenti più moderni, del tipo Franco-Maria. In una relazione educativa seria ed efficace è decisivo che i ruoli siano chiari: c’è chi educa e chi viene educato, chi aiuta e chi viene aiutato, chi inoltra nell’arte del vivere e chi viene inoltrato. Ruoli differenti e asimmetrici. Esiste uno scarto che se non viene rispettato genera solo confusione e presunzione. Accondiscendere, accontentare per partito preso, giocare a fare i fratelli/amici dei nostri ragazzi potrà evitare grane, darci delle gratificazioni sull’immediato, renderci più ‘a la page’, essere comodo, tuttavia sul lungo termine si rivela strampalato e deleterio. In questo insano abbassamento spesso il massimo delle proposte educative è la nefasta regola del ‘fate quello che vi piace o che vi sentite di fare’. Certo che il desiderio va ascoltato, assecondato, fatto maturare, ma se lasciato da solo diventa un criterio consumistico. Vogliamo dire che il tempo dell’educazione non è come il tempo passato al centro commerciale per scegliere quello che piace a me e serve per me. L’educare domanda responsabilità, fedeltà, sperimentazione di esperienze inedite, apprendimento di atteggiamenti essenziali, sacrificio, apertura all’altro, servizio, rinuncia, ascolto, sensibilità, progettazione del futuro. Abbiamo l’impressione che tale cultura o meglio pseudocultura dell’educare, pseudo perché non si pone la domanda su ciò che è vero e merita di essere posto come obiettivo da raggiungere, finisca con l’inquinare anche il settore fede. In un processo naturale di trasferimento Dio, nostro genitore, lo tiriamo giù e ne facciamo l’amico del cuore, quello che ci capisce, il grande NONNO a cui accendere un cero quando ci sono dei problemi e degli incidenti di percorso. Un Dio a nostra immagine e somiglianza, un dio pagano, che non c’è se non nelle nostre teste. Un NONNO dicevamo che ha una bella bottega, come quelle di una volta con i cassetti per la pasta, i vasotti con le caramelle e mercanzie per ogni esigenza. È la storia di una fede beceramente consumistica, di chi accede a dei servizi su cui vanta solo diritti e nessun dovere. Una fede blanda, a spot, che non ci fa crescere, che non ci educa. Dio è altro da noi, anzi è il totalmente altro, ha una parola di fuoco da rivolgerci, di quelle che trafiggono l’anima. Dio ha mille progetti formativi sulle sue creature, e ha una Parola di verità da svelare. Forse potremmo partire proprio da Lui per apprendere il nostro mestiere di educatori, per recuperare una necessaria differenza, per essere più efficaci facendo intuire ai figli che il vero divertirsi è frutto dell’impegnarsi, che la gioia è figlia della responsabilità, che l’appagamento è fratello della coerenza, che il bello ha a che fare anche con il sacrificio, che il lavoro non si riduce volgarmente a portar a casa quattrini, che la libertà è il bene più prezioso, che ciò che conta non è l’opinione dei più, ma ciò che è buono e giusto. Viva l’asimmetria!
(Natale 2008 – dal Bollettino delle Parrocchie della Val Meduna)