Dio è Padre e Madre. Quando incontriamo l’espressione biblica di Dio che ha misericordia e compassione, per sé l’espressione ebraica che sta sotto è che ‘Dio ha utero’, è Madre insomma. Come quando in italiano noi affermiamo di qualcuno che ha cuore, così qui si può affermare che Dio ha utero, ha viscere (utero) di misericordia, che fremono di misericordia. Quindi Dio è Madre che si protende con tenerezza sui figli. È Madre che ama, e proprio perché ama è Madre che chiama. Dio più precisamente è un genitore che ama i figli e li chiama a divenire padri, a generare a loro volta figli. Nel mistero della Madre noi troviamo svelato il mistero della nostra identità e vocazione.
Partendo da questa bella verità divina e umana insieme non ci vogliono studi accademici per verificare che tale verità viene negata, infranta, rigettata da parecchi adulti che divengono orfani per scelta, che non ci stanno più ad avere Dio per Padre e Madre, che rompono la loro dipendenza da Lui/Lei. Ma dal momento che il bisogno di dipendenza è connaturale alla struttura del figli, eccoli qui i nostri adulti, presunti liberi, alla ricerca di altri padri che poi più tardi scoprono essere solo dèmoni che li hanno imbrogliati, ingannati e scaricati. Si ritrovano così ‘orfani di Padre e di Madre e orfani di mille diavoli’. La colorita battuta non è mia, ma la avverto così suggestiva che la sento mia permettendomi di lavorarci sopra. Adulti orfani, smarriti, agitati, confusi e insicuri. Figli orfani che hanno partorito a loro volta orfani, orfani di orfani come recita il nostro titoletto. Tremendo orfanaggio, dove si prolunga inesorabilmente la catena delle confusioni e delle insicurezze. Nella generazione di questi adulti vanno contemplati non solo i trentenni-cinquantenni, ma tutta la classe degli adulti anagrafici: genitori, educatori, preti, suore… nessuno escluso. È un linguaggio forzato il nostro, ma a proposito con l’intento di far emergere un limite evidente e centrale. Esiste una tendenza ad abbandonare la relazione educativa, o l’illusione di esercitare una buona relazione educativa. Distratti e occupati altrove, addosso ai pargoli sino all’età dei dieci anni e poi fautori ingenui della pedagogia dello stato brado, incapaci di ascoltare i bisogni detti e soprattutto quelli non detti, assenti o iperprotettivi, rinunciatari e poco esigenti, di fatto lontani con figli lasciati a se stessi. Certi fenomeni sociali come il bullismo, il mammonismo, l’ipersballo del Sabato notte e della Domenica mattina o alcuni incomprensibili bronci e chiusure hanno qui la loro radice.
Più che puntare sulle tecniche di comunicazione, come andava di moda sino a qualche anno fa, o ascoltare l’ultima trovata dello psicologo di turno, o cercare l’intuizione geniale del consulente famigliare o del prete carismatico della Pastorale Giovanile, si tratta di recuperare ciò che antico eppure nuovo come il mondo, e cioè la nostra verità. Verità di figli che accettano intelligentemente di dipendere, di riconoscere il Padre/Madre, di riconoscersi figli. Verità che racconta di una vita ricevuta e di una vita donata a figli non più orfani, perché figli di genitori che vivono e che amano.
(09.08.2008 – dal Bollettino delle Parrocchie della Val Meduna)