Mi piace spendere due parole sulla recente storia del figlio, talvolta colpevolmente dimenticata. Lo scorso anno ad Oxford un paio di brillanti professori di lingua sulla quarantina nulla sapevano della famosa contestazione studentesca del ’68, pur essendo nipoti di quella stagione. In quegli anni è accaduto che il figlio decretasse la morte del ‘padre’ arrivando ad ucciderlo. Il padre rappresentava il vecchiume di cui sbarazzarsi. Era necessario smetterla con il passato, bruciare le bandiere che apparivano prodotti formali e simboli pieni di vuota retorica, mandare a quel paese l’autorità, affrancarsi dalle tradizioni, demolire le preistoriche istituzioni. Era il tempo del 6 politico, degli hippies e dei figli dei fiori. E così questo figlio, innamorato della sua libertà, è rimasto orfano del padre, quindi incapace di riconoscersi e alla fine privo della sua libertà, smarrito e solo. Ora si parla della generazione incredula, quella dei piercings e delle braghe basse tanto per capirsi. Ecco logica conseguenza: un figlio senza padri né Padre non si è più capace di diventare a sua volta padre. Ovvero, troncando con il passato e senza interesse per il futuro ci si tuffa nel presente, nel carpe diem di oraziana memoria (altro che giovanile novità). A furia di guardarsi l’ombelico è una generazione che rischia di ingobbirsi e di uccidersi. Il figlio ha ucciso il padre e ora uccide se stesso. Il Vangelo lo trovo una proposta in controtendenza, perchè è determinato a recuperare il volto del figlio. Non siamo orfani, ma figli e figli tenerissimamente amati.
4 thoughts to “Cerco un figlio!”
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Ho trovato molto interessante il tuo articolo. Avevo letto poche ore prima un altro articolo intitolato “così buco il muro dell’indifferenza”, scritto da Franco Nembrini, educatore per vocazione che dialoga con i ragazzi su vita, scuola. E felicità. Diceva infatti che l’educazione è la vocazione della vita. Noi adulti, e quelli più adulti di me, siamo la prima generazione che vive in modo così drammatico il problema della tradizione, cioè della consegna da una generazione all’altra di un patrimonio di conoscenze, di valori, certezze, in sintesi di un’idea buona della vita, che è stata scalzata dallo scetticismo e dal relativismo. E’ il risultato di un lento ma inesorabile processo di erosione culturale e umana, che ha avuto come punta di lancia la sistematica distruzione della figura del padre (com’è stato il ’68 in Italia e nel mondo e quindi la contestazione dell’autorità in generale, dell’autorità in famiglia: il padre giudicato oppressivo, autoritario, vecchiume, come hai detto tu) e ultimamente, la distruzione della figura di Dio, di una Paternità grande a cui l’uomo appartiene o a cui desidera appartenere. Si è sostituito Dio con alcuni ideologie, che poi hanno dimostrato di non poter dare senso all’esistenza. Dice ancora Nembrini: c’è un disorientamento che cresce, e che si trasmette dagli adulti ai giovani, nell’affannosa ricerca di punti di riferimento. Sembriamo di non essere più capaci di fare il padre o la madre, c’è l’idea che dovremmo avere tutti uno psicologo fisso a disposizione, prevale la paura di sbagliare, di non essere all’altezza, di traumatizzare i bambini. Quello che li traumatizza è invece la sensazione di camminare sulle sabbie mobili, lo sguardo incerto, l’impressione che basti un alito di vento per portare via tutto. Quando però la proposta educativa, la testimonianza, arriva al cuore dei ragazzi e dei bambini, sfonda. La testimonianza in ciò che credi “buca” il muro dell’indifferenza e della scontatezza. Genitori, adulti, che ci mostriamo, non come modelli di perfezione ma che siamo capaci di accettare e accogliere il limite e di indicare una via maestra sulla quale vale la pena spendere l’esistenza.
Cara Donatella, quando viene meno la figura del padre di fronte alla quale stare il figlio non recupera più la sua identità, non accoglie la sua verità iniziale (essere figlio) e la sua verità terminale (diventare a sua volta padre). E così si trasforma nella migliore delle ipotesi in un eterno farfallone che a 50 anni si chiede ancora cosa farà da grande. Li hai mai visti certi maschi quarantenni, cinquantenni, sessantenni giocare a fare i campioni olimpionici come i ventenni? O le loro colleghe femmine girare col pancino fuori esibendo maliziosi piercing e super imbellettature degne di una diciottenne… con la figlia di 18 a casa che veste magari come una befana, trascurata come una cinquantenne depressa? Adultescenti, questo è il termine che alcuni osservatori, e secondo me azzeccando, hanno coniato per queste nuove figure di pseudoadulti. E’ chiaro che se il giovane non trova gente matura che gli cammina a fianco e avanti con chi si scontrerà e si confronterà? Il futuro da raggiungere allora non c’è non solo perchè è sparito dall’orizzonte immaginario dei ragazzi, ma perchè, sparendo l’adulto, è sparito di fatto. Se l’adulto insegue l’eterna giovinezza, rincorre pateticamente i teenagers, dietro chi correrà il nostro giovane contemporaneo? Ti ringrazio del tuo contributo. Abbisognamo come il pane di adulti che cantino fuori del coro dei pappagalli.
ho trovato interessante e fuori dal comune questo tuo articolo sul figlio.Vorrei risponderti con :cercasi eroi disperatamente. Noi siamo cresciuti “guardando” a qualcuno, ma i nostri figli chi hanno da guardare? i nostri figli a quale maestro possono assomigliare,a chi possono chiedere luce per loro dubbi, da chi possono attingere coraggio per crescere in questo “caos” del tutto e del niente?Credo che stiamo raccogliendo ciò che è stato seminato, seminato male e senza passione. Ma ora è inutile continuare a piagnucolare, con le finte lacrimucce non si costruisce ne il presente ne il futuro, E allora chi ha il coraggio dentro, chi ha il fuoco delo Spirito che chiede di venire liberato si faccia avanti senza falsi pudori, i nuovi “eroi ” di questo tempo si sveglino e irrompano senza aver paura di sbagliare.Cinque pani e due pesci nelle mani nostre servono per la cena ma messe nelle mani di Dio sfamano una moltitudine! Forse ci sentiamo poveri e non all’altezza ma è qui che Dio compie il miracolo e ci fa divenire “eroi”. Coraggio alziamo il capo e mettiamodi in gioco.
Caro Sergio, se guardo agli adulti della mia infanzia (penso ai nonni e… anche a tutti quei parenti ormai ‘andati’ che stanno fieri sulle foto in bianco e nero esposte nell’atrio di casa, ai preti educatori, agli insegnanti, ai personaggi del mio e dei miei paesi) li penso con riconoscenza e li sento veri e propri eroi. Ora, da adulto anch’io considero pure i loro limiti e difetti più o meno appariscenti e con tutto ciò non di meno rimangono eroi, straordinari eroi della santità vissuta nella normalità. Mi auguro che tale esperienza emotiva e spirituale insieme possa essere goduta dai nostri rampolli. Grazie per il tuo bel contributo al Blog!