Ricordo che fin da piccolissimo alla Domenica si andava alla Messa, ed era una festa ed un incanto… oggi l’espressione sembra sia solo anticaglia buona per essere attaccata come canto dei tempi che furono nelle osterie di paese dopo la Festa Patronale o come valzer in qualche ‘baladora’ di periferia. Quando di domenica si aprivano le finestre sull’aria fresca e riempita di sole della campagna; quando vedevamo il babbo che si lava al catino strofinandosi con vigore le mani sul viso, sul petto e sulle ascelle; quando la mamma ci vestiva con le braghe corte confezionate dalla sarta per la Domenica; quando le campane con insistenza spingevano lontano il loro allegro richiamo ci sentivamo attratti, irresistibilmente attratti proprio alla Messa. La terra, la casa, le stagioni, il paese, gli amici profumavano della presenza di Dio. Lui era come una mano larga e affidabile che tutto sosteneva. Ed eravamo convinti che la Chiesa fosse la sua e la nostra casa per eccellenza dove era bello accarezzarlo e lasciarci accarezzare. La Messa era una gioia: Dio stava con i suoi figli per confidarsi con loro, per incoraggiarli, per nutrirli, per riconciliarli come famiglia, per consolarli, per educarli. E per strada non si incontravano ‘amatori’ distraenti perché eravamo già in compagnia di Dio, a braccetto con Lui. E per noi questo era il meglio.
Io credo che in queste nostalgie riscontrabili in parecchi ex giovanotti dai 40 anni in su rivelino una serie di cose interessanti.
Il centro di gravità.
Sono convinto che l’uomo abbisogna di ordine, non nel senso della pura disciplina e di chiare regole, ma di un centro caldo intorno al quale fissare tutto il resto. Pena altrimenti il vivere dis-ordinati, senza ordine, smarriti, facenti parte della triste generazione del Boh. La Messa ha la pretesa di rimettere in ordine, di dare senso alla storia.
Un centro di gravità permanente.
Dal momento che noi siamo animali simbolici e ritmici è indispensabile il ritrovarsi con fedeltà attorno a questo centro. Non averlo chiaro sarebbe da ingenui. Solo l’assiduità, il ritmo garantisce pian piano la crescita e la stabilizzazione in noi di gusti, di sentimenti, di atteggiamenti, di pensieri che sono poi alla fine quelli stessi di Dio. Chi ci sta avverte che la faccenda funziona ed è godibile. Si spiega così il fatto di certe vecchine pimpanti e per nulla ammuffite, giovanissime dentro, che affermano con candore che senza la Messa non saprebbero stare.
… che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose.
La Messa, recitano austere le sacre pagine della teologia di sempre, è la Memoria Christi, la Memoria della Pasqua. Mettendoci con fiducia davanti al Tu di Dio e a ciò che Lui ha fatto, noi comprendiamo il nostro Io. Davanti al Creatore la creatura prende coscienza della sua identità di figlio, di voluto e amato da sempre e per sempre. Celebrare con autenticità e con gusto significa maturare nell’identità, irrobustirla, nutrirla. Ma perché dobbiamo rischiare troppo spesso di finire dallo psicologo per disturbi legati all’identità? Nella Messa, nel gesto dello spezzare il pane ritroviamo chi siamo chiamati ad essere: creature ad immagine e somiglianza dell’Altissimo, fatte per spezzarsi, per donarsi, per amare. È sempre in fondo una faccenda d’identità. Nulla di automatico e di scontato ben s’intende. Anche il sottoscritto, celebratore di un numero già considerevole di Messe, scivolò a 30 anni nel caos della depressione, allora avevo 5/6 anni di Ordinazione sacerdotale, e fu ‘costretto’ a chieder aiuto, guarda un po’ ad uno psicologo. Ma una delle pochissime consolazioni rimase appunto l’Eucaristia, quotidiana. Comprendevo che lì, esaurite tutte le altre certezze di un tempo, Dio mi restituiva la mia identità, che anch’io ero suo figlio, che sarei stato capace un giorno non lontanissimo di amare con gioia, di spezzarmi in positivo. Se era così voleva dire che non ero da disprezzare, che anch’io ero amabile, oggetto del suo amore. Se l’idea su noi stessi diviene deprimente allora iniziano i guai.
La Messa se presa in questo modo è la porzione di manna settimanale per affrontare con energia il cammino; è orientamento; è intuizione del mistero del vivere e della sua bellezza; è fremere contenti sotto la mano benedicente di Dio; è riappropriasi con stupore di sé stessi e del proprio destino; è…
Che pena quando lo sguardo corre sui banchi domenicali deserti, inesorabilmente vuoti, ad attendere gente distratta, tratta altrove. Non è una questione di soddisfazioni pastorali: della serie che la Chiesa piena rallegra il cuore dei pastori. Sarebbe abbastanza avvilente. Ma è in ballo una opportunità straordinaria per la riuscita della vita. Ecco perché Dio inventa la Messa: perché ama la vita. A buon intenditor non servirebbero altre parole.
(Natale 2005 – dal Bollettino delle Parrocchie della Val Meduna)